Padenghe, ovvero Mi piace pensare
Nono messaggio in bottiglia per iniziare la scuola
È successo poco tempo fa, un pomeriggio di agosto, quasi senza preavviso, mi hai portato al lago.
Così abbiamo trovato una spiaggia tranquilla fatta di ciottoli piccoli e ci siamo sdraiati. A un certo punto mi hai detto Ascolta lo sciabordio delle onde e dopo una pausa di silenzio hai continuato con questa domanda: Ma che cosa è che trasforma un rumore in un suono?
Non ricordo di averti risposto o forse il mio tentativo è stato piuttosto maldestro. Ricordo solo che poi siamo entrati in acqua, abbiamo nuotato un po’ e con qualche piccola fatica e il rischio di scivolare sui sassi siamo tornati a sdraiarci e abbiamo aspettato la sera, forse abbiamo camminato fino a un molo, ci siamo seduti a bere e mangiare qualcosa, siamo tornati a casa.
Oggi mi piace pensare che quella domanda, insieme allo sciabordare delle onde, sia rimasta impigliata in qualche radura dei miei pensieri e da quel punto continui a risuonare e mandare messaggi.
Oggi non credo che ci sia davvero “qualcosa” che trasforma i rumori in suoni.
Mi piace pensare che siamo piuttosto noi che facciamo questa “cosa”, questa trasformazione: accade ci sia qualcosa, dentro di noi, che “sentiamo”, come una qualità particolare del nostro orecchio, del nostro ascolto, che si accende e si spegne, parla o resta in silenzio. E quando è viva sente che arriva il suono, sente forse che ogni rumore può diventarlo.
Non sono un esperto né di musica e tantomeno di acustica. Però credo che questa faccenda, riuscire a sentire un suono dentro il rumore, oggi ci riguarda da vicino e può fare la differenza nel come abitiamo il mondo, in quello che proviamo e riusciamo a costruire, ma anche nel come accompagniamo qualcuno che cresce e ci è stato affidato, nella scoperta del mondo, nel suo modo di abitarlo.
Forse anche semplicemente di “sentirlo”.
Oggi mi piace pensare che in mezzo a tutto il frastuono di una vita che ci consuma, la scuola possa diventare questo luogo: una spiaggia di piccoli ciottoli, in un tardo pomeriggio, dove senza preavviso arriva lo sciabordare delle onde, dove ogni rumore diventa piano piano una partitura di suoni, una vera e propria musica.
Che c’è, esiste, perché qualcuno la sente. Perché questo qualcuno a un certo punto, anche se sei sdraiato, anche se sei maldestro nel dare le risposte, o sei maldestro e basta, ti dice Ascolta.
Forse accade proprio questo. Che dobbiamo spostare l’accento in quello che accade, che possiamo operare uno slittamento sottile, come insegnanti, come educatori. Un passaggio minimo ma decisivo, come quello dal rumore al suono.
Il passaggio dal sapere al pensare.
Siamo fin troppo abituati a collegare la scuola con il sapere, giusto, ce lo dicono tutti i giorni in tutte le salse: gli apprendimenti, quello che mi porto a casa, quanto riempio il mio sacco e la mia testa. Quel che conta alla fine della scuola è cosa so e come posso usare il sapere nella vita. Prima imparo, poi uso.
Ci mancherebbe. Alla fine arriviamo a credere che la scuola stia tutta nel “pensare di sapere”.
Ecco oggi io credo che la questione sia un’altra: quello che conta, anzi no, quello che fa la differenza, dopo un percorso di scuola non è tanto pensare di sapere.
Perché se ci pensiamo bene il sapere non si pensa. Il sapere è come un rumore che suona, il sapere si sente, le cose si sanno quando fanno male, quando ci accade quella cosa che si chiama passione, quando dentro ogni sofferenza del mondo, e anche di noi stessi, riusciamo a intravedere una luce, una musica possibile, anche se arriva da lontano, e risuona distante.
Alla fine quello che fa la differenza è “sapere di pensare”.
Sentire che sono io, anzi che siamo noi, almeno in due (allievo e maestro?), che ci parliamo, in un dialogo che vive di orizzonti e profondità. Che ogni tanto, spesso senza preavviso, ci troviamo davanti al mare, davanti a un lago. Entriamo in acqua, stiamo dentro quelle onde e nello starci siamo quelle onde, il loro suono. Che una volta usciti dal mare possiamo di nuovo sdraiarci e riposare, e poi metterci in cammino, arrivare a un molo: nutrirci e dissetarci.
E tornare a casa. Continuando a parlare, parlarci accogliendo ogni silenzio che viene. Come uno sciabordio che incessante ci resta impigliato nei capelli del pensiero e li muove e non finisce mai di dare vita a questo misterioso concerto.
Emanuele Ferrari
Assessore alla scuola Comune di Castelnovo Monti
scritto il 13 settembre, di mattino.