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Conferimento della cittadinanza onoraria a Loris Borghi

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news eventiNon è stata una semplice formalità, ma al contrario un momento che ha suscitato emozione il conferimento, questa mattina al Teatro Bismantova, della cittadinanza onoraria di Castelnovo Monti a Loris Borghi, Magnifico Rettore dell’Università di Parma, che a Castelnovo è cresciuto, e dove ha ricoperto importanti ruoli amministrativi: Consigliere comunale dal 1970 al 1980, poi Presidente del Consorzio Socio Sanitario dell’Appennino, mentre avviava anche la carriera medico scientifica presso l’Università di Parma. Emozione palpabile nella voce e negli occhi del rettore, apparso sinceramente commosso, sia nel ricevere la pergamena con l’attestato di cittadinanza onoraria dal Sindaco Gianluca Marconi, sia nel leggere una intensa e profonda lettera agli studenti, visto che il teatro era affollato dai ragazzi degli ultimi anni delle scuole superiori castelnovesi. Una lettera che ha spaziato su molti temi, e che riportiamo integralmente:

Care Ragazze e cari Ragazzi,
con questa lettera mi rivolgo a voi con affetto, entusiasmo e anche un po’ di timore.
Può sembrare strano, a qualcuno addirittura retorico, che un Professore Universitario, Rettore di un’Università, parli di sentimenti e di passione davanti a degli Studenti.
Ma per me, oggi, è così.
Quando alcuni mesi fa il nostro Sindaco Gianluca Marconi mi comunicò che il Consiglio Comunale aveva deciso di conferirmi la cittadinanza onoraria e che il consigliere Luigi Bizzarri aveva proposto che io tenessi per l’occasione una “lectio magistralis” sul tema “Università, formazione, giovani”, subito, preso dallo stupore, non realizzai completamente.
Era l’inizio della scorsa estate, ero appena stato eletto Rettore dell’Università di Parma dopo una lunga campagna elettorale e avrei preso servizio il 1° novembre. In quel momento, fisicamente un po’ stanco, mi sentivo come uno scolaro al primo giorno di scuola: la mente piena di progetti e di suggestioni e il cuore in gola per il timore della novità e delle responsabilità.
Ma proprio la proposta del Sindaco mi squarciò il velo davanti agli occhi: era la mia terra che mi chiamava, non per uno sterile formalismo, ma per un sentimento vero di appartenenza e di reciproco riconoscimento. In quel momento capii che mai e poi mai sarei stato in grado di fare agli Studenti di Castelnovo ne’ Monti una “lectio magistralis”: si sa sono un montanaro e come tale ho “le scarpe grosse”. Decisi dunque che vi avrei scritto. Sì, vi avrei scritto una lettera, un po’ come un amico o un fratello maggiore, per raccontarvi qualcosa di me, non una “predica” ma il racconto di un’esperienza, della mia reale esperienza, lasciandovi così liberi di ricordarla, di rileggerla oppure di cestinarla come se non fosse stata mai scritta.
Sono nato 65 anni fa (spero non si noti troppo…) in una casa isolata sulle sponde parmigiane dell’Enza. Mia madre era maestra e mio padre commerciante di bestiame. Mia madre aveva 45 anni ed io ero il terzo figlio, per quei tempi giunto in tarda età. I miei fratelli erano stati chiamati Michele e Gabriele ed io, per logica e volontà paterna, mi sarei dovuto chiamare Raffaele, come il terzo arcangelo. Invece fui Loris per desiderio di mia zia Olga, moglie di mulattiere, mia levatrice per l’occasione e, in seguito, veramente molto di più.
Vi starete domandando il perché di questa digressione: vedete, i latini dicevano “nomen omen”, nel nome il destino, ed io penso che è anche per un nome così “reggiano” che la mia vita si è tanto legata a questo luogo!
Qui ho passato la mia infanzia e la mia giovinezza, qui da ragazzino mi svegliavo tutte le notti alle 4 per vedere se finalmente era arrivata la neve, qui ho imparato a leggere e a scrivere, qui ad arrampicarmi correndo pericoli inconsapevoli, qui ho conosciuto quattro persone importanti che mi hanno insegnato tante cose da punti di vista tra loro molto diversi: il Parroco don Mario Gasparini, il Maestro Remo Torlai, l’Onorevole Pasquale Marconi e il Sindaco Giuseppe Battistessa. Qui per la prima volta ho studiato e vissuto la politica, qui ho lavorato per una nuova montagna, qui ho compreso che cosa significa appartenenza e rispetto per le istituzioni, qui ho capito che cosa vuol dire fatica e senso di responsabilità e qui, sotto questa terra, riposano i miei cari, tra cui una figlioletta che, come brezza leggera, troppo rapidamente se ne è andata.
Ecco, nel mondo dei furbetti e delle scorciatoie, delle comunicazioni “smart” e degli slogan, dei tweet e dei post, vi voglio lasciare un messaggio antico ma non per questo meno innovativo: le chiavi di ogni successo, di ogni carriera, di ogni donna o uomo che voglia lasciare un segno del suo passaggio, sono la passione, lo studio, il rigore e il senso di appartenenza.
Vi assicuro che queste non sono parole vuote: questi concetti hanno guidato nella pratica la mia vita di medico e di professore universitario.
Parto dall’ultimo – il senso di appartenenza – che non significa affatto campanilismo, chiusura, casta ma significa riconoscere le proprie radici, avere l’obiettivo di migliorare se stessi per migliorare il proprio ambiente e il contesto in cui si opera. Ogni luogo può essere più o meno bello ma sicuramente è migliorabile e il miglioramento dipende solo ed esclusivamente da noi. Ed è questa tensione al miglioramento che genera competitività, non il contrario! Troppo spesso sento dire che per avere successo è necessario essere competitivi! Io vi dico che è esattamente l’opposto: soltanto se ci mettiamo nell’ottica di migliorare noi stessi saremo vincenti e competitivi. E miglioramento vuol dire innovazione, trovare strade nuove e abbandonare i dogmi, le recriminazioni e i piagnistei.
E’ evidente che i combustibili di questo processo non possono essere altro che il lavoro quotidiano e lo studio. Quest’ultimo è la più potente freccia che avete al vostro arco: solo lo studio è la garanzia del vostro futuro, della vostra indipendenza intellettuale e in ultima analisi anche del mantenimento della nostra democrazia repubblicana. Un grande padre della Costituzione, Piero Calamandrei, già sessant’anni fa, scrisse che lo studio “permette ad ogni uomo di avere la sua parte di sole e di dignità” e che solo la Scuola e l’Università possono “creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali”.
Ed ecco che compare un altro punto fondamentale di questa mia lettera: la passione. La passione è il motore di ogni attività, è il cuore della libertà, è il vero collante della nostra esistenza.
La passione ha un profondo significato biologico-evolutivo, ve lo dico da medico: essa è capacità di riconoscimento nell’altro, empatia ed emozione. Infatti ciò che caratterizza l’uomo rispetto agli altri animali è la parola, logos e linguaggio, capacità di collocare se stessi in una dimensione reale e al contempo immaginifica, attraverso la mediazione culturale e le emozioni. La mia vita è stata ed è permeata dalla passione, per la medicina e per la politica: nella mia visione medicina e politica sono tra le due più alte espressioni dell’uomo. Certo sono difficili da esercitare, sono un lavoro continuo da compiere, impegno, fatica, responsabilità… Ma io ho avuto una grande fortuna che mi ha fatto sentire lieve questo impegno: tanti giovani allievi ai quali ho insegnato con affetto e anche con severità e dai quali in verità ho imparato io stesso tanto. L’entusiasmo di voi giovani, la vostra vivacità, direi a volte la vostra sfrontatezza, sono il motore inesauribile della storia dell’umanità.
Molto spesso si sente parlare del problema “giovani/giovani generazioni”, talvolta in senso negativo riferendosi a bullismo, individualismo, rapporti virtuali mediati dai social network , talvolta in senso positivo come sostegno alle vostre aspettative e alle vostre difficoltà. Troppo spesso, tuttavia, i discorsi sono sterili, privi di contenuti pratici, legati solo ad una semplice contrapposizione anagrafica giovane-vecchio dove viene propagandato come esclusivo criterio di merito, o di demerito, la giovane età o, al contrario, l’età avanzata.
Ma se è vero che oggi esiste un problema “giovani”, almeno una quota di responsabilità è proprio di una parte delle persone delle generazioni più anziane. Qualcuno dovrebbe chiedervi scusa, ma dato che questo non accade, lo faccio io per loro in questa sede.
La responsabilità di certe cose è di alcuni con i capelli bianchi come me: una parte di noi ha creato una sorta di “impoverimento sentimentale della vita”, come diceva Antonio Gramsci, che si realizza quando le generazioni più anziane rinunciano ai loro doveri di educatori verso le generazioni più giovani . La classe dirigente prodotta dalla mia generazione non ha avuto visione di lungo periodo, ha subìto, non guidato, i cambiamenti del contesto sociale ed economico. Arroccata sulle proprie abitudini e sui propri privilegi non si è accorta delle frontiere che cadevano, si è fatta cogliere impreparata dalle nuove, peraltro prevedibili emergenze, come la disoccupazione giovanile, l’invecchiamento della popolazione e la conseguente disabilità, la gestione della multiculturalità, lo scollamento tra economia reale ed economia dei mercati finanziari “globalizzati”. Non ha vigilato con sufficienza su di voi ragazzi, non ha affrontato con serietà ed approccio medico-scientifico l’enorme questione delle dipendenze. Non bastano le pubblicità shock, le campagne su facebook e i codicilli di legge per fermare le morti o le gravi malattie provocate ad esempio da alcool e droghe pesanti! Da uomo comune lo penso e da medico lo affermo: non servono grandi strategie, basta una singola persona; a volte basta che un amico ti dedichi un po’ del suo tempo e ti fermi il bicchiere…
In nome del denaro e del successo personale è come se avessimo perso il gusto e il piacere di aiutare chi è in difficoltà. Voi lo sapete, ma dovete ricordarlo anche quando sarete adulti: non c’è niente di più bello e gratificante che vedere la felicità e il sorriso sul volto di una persona che ha ricevuto un gesto di affetto e un aiuto concreto.
Ma, come sempre, non tutto è perduto; alcuni di noi non si rassegnano, voi ci siete e noi possiamo ancora dare il nostro contributo.
Il mezzo mediante cui potremo risalire la china è la ragione stessa per cui io sono qui oggi: la Scuola e l’Università.
Sì, cari ragazzi, la Scuola e l’Università sono la nostra risposta. L’alta formazione, la cultura, la ricerca e l’innovazione abitano nella Scuola e nell’Università. I docenti veri portano cultura, stile di vita ed esempio, non nozionismo. Noi insegniamo ad essere. Il titolo di dottore non è un titolo onorifico, è l’investimento che lo Stato e le vostre famiglie fanno per i capaci e meritevoli; è un modo di vivere. Anche in questo caso uno squallido mercato della conoscenza volto a inculcare l’idea che la Scuola e l’Università pubbliche sono baronia e spreco, mentre Scuole e Università private sono garanzia di efficienza e successo sta creando danni molto gravi.
La Scuola e l’Università pubbliche possono spaziare in tutti gli ambiti del sapere perché vogliono trasmettere concetti e non solo informazioni. I concetti derivano da un approccio scientifico e sono in un certo senso “immortali”; le informazioni, d’altra parte, offrono la spiegazione di fenomeni immediati e si prestano a rapida obsolescenza. In altre parole, la Scuola e l’Università pubblica non devono semplicemente insegnare un mestiere, ma devono formare Professionisti colti ed autonomi. E ogni Professionista è unico e ha caratteristiche che lo possono distinguere e fare apprezzare in qualsiasi àmbito e situazione.
I docenti facciano ogni sforzo per stimolare la tensione continua allo studio, la passione per la ricerca, un florido lavoro intellettuale: in questo modo nessun diplomato o laureato che abbia 18 o 100 anni sarà mai “fuori mercato”.
Non importa ciò che voi vorrete diventare, se medici, ingegneri, giuristi, matematici, letterati o qualunque altra professione, l’importante è che ricordiate, proprio adesso che siete giovani, che è vecchio chi smette di imparare, anche se ha 18 anni. Ricordatevi sempre di cercare il bello dentro e fuori di voi: solo così sarete uomini e donne liberi, e giusti, perché l’Estetica è il presupposto dell’Etica.
Noi, all’Università cerchiamo di non dimenticarlo riannodando ogni giorno quel sottile filo rosso che unisce Stonehenge, il Partenone e la Silicon Valley. Voi non abbiate mai paura degli ostacoli né timore di sbagliare, ma, quando sarete nell’errore non giustificatevi, guardatevi allo specchio, assumetevi le vostre responsabilità, rielaborate in energia di cambiamento il dolore tagliente e la cupa frustrazione che provengono dalla consapevolezza di aver sbagliato. Io stesso tante volte ho compiuto degli errori e sono certo che lo farò anche nella mia nuova funzione di Rettore dell’Università. Ma il vero problema non è compiere un errore: ciò che è veramente grave è non chiedere scusa se qualcuno ne è rimasto offeso e non apprendere dall’errore stesso.
I vostri Professori e i vostri famigliari cercheranno di facilitarvi il più possibile il percorso di studi tenendo bene a mente però che facilitare non significa essere permissivi: a voi chiedo il medesimo rigore che pretendo da me stesso.
Prima parlavo della responsabilità dei più vecchi nei confronti dei giovani ma ora aggiungo di non sottovalutare la responsabilità che voi avete nei confronti dei più vecchi, delle vostre famiglie e dei vostri genitori. Non dimenticate mai di ringraziarli per tutto quello che fanno per voi e impegnatevi a fondo per rispettare i tempi corretti del corso di studio che sarà strumento fondamentale per la vostra promozione personale e sociale.
E quando sarete più adulti, magari laureati e professionisti di successo, come vi auguro con tutto il cuore, non dimenticate mai di essere stati giovani, delle vostre esperienze, della vostra “immaturità”, del vostro ardore: questo ricordo vi permetterà di diventare vecchi senza invecchiare.
Non offuschi la vostra mente l’aver studiato, l’aver raggiunto il successo e la carriera, magari ricca e di potere: ricordate sempre che qualsiasi professione intellettuale, anche la più alta, non è mai superiore al più umile dei mestieri se questo è condotto con qualità e rigore. Ad esempio, un medico in ospedale, come potrebbe curare i propri pazienti se non ci fosse chi fa le pulizie? O che cosa potrebbe costruire un ingegnere se non ci fossero coloro che portano i sacchi di sabbia?
Concludo questa mia lettera con un cenno al mio futuro: molto spesso, per uso e tradizione antica, vengo ora chiamato “Magnifico Rettore”. Ma, a questo punto, mi si presenta una sfida: sarò capace di invertire i termini e di essere ricordato non come “Magnifico Rettore” ma come un “Rettore magnifico”? In attesa di vedere se questo accadrà un fatto è già certo: è “Magnifico” lavorare in mezzo ai giovani e per i giovani!
Carissime Ragazze e carissimi Ragazzi, grazie per aver ascoltato con pazienza questi frammenti del mio pensiero e della mia esperienza.
Vi lascio con un sincero augurio per il vostro futuro e spero di rivedervi numerosi all’Università di Parma.
Un abbraccio a voi tutti che rappresentate questa terra che un tempo mi adottò e che oggi mi riaccoglie e mi riconosce come proprio figlio e Cittadino.
Loris Borghi
Castelnovo ne’ Monti, 2 aprile 2014
Marconi Borghi Zanichelli Franceschini

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